Italia, il dissenso ebraico contro la guerra

Un rigoroso testo di rifiuto della guerra da parte di 53 ebrei italiani mentre il conflitto nella Striscia di Gaza si aggrava sempre di più. Il rischio di escalation bellica che coinvolge l’Italia e la commozione per la piccola Hind Rajab.
Rafah, sud della Striscia di Gaza Foto Ansa EPA/HAITHAM IMAD
Rafah, sud della Striscia di Gaza Foto Ansa EPA/HAITHAM IMAD

Mentre continuano, senza sosta, i bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza, si è levato un appello deciso contro la guerra da parte di 53 appartenenti alla comunità ebraica italiana composta da circa 30 mila persone.

La situazione a Gaza sta precipitando, come testimoniano gli inviti della comunità internazionale a fermare l’attacco finale del governo di Tel Aviv sulla città palestinese di Rafah dove sono ammassati un milione e mezzo di civili.

L’Unicef invoca di fermare le armi davanti a 600 mila bambini presenti tra gli sfollati in quell’area. Oltre il dato arido dei numeri, ha suscitato una certa reazione emotiva conoscere e vedere il dolce volto di Hind Rajab, la bambina di 6 anni, uccisa assieme a due soccorritori, dopo aver lanciato dal telefono richiesta di aiuto mentre si trovava da sola nell’auto dei familiari colpita da un tank.

Già negli Stati Uniti, come testimoniano le agenzie di stampa, si sono tenute delle manifestazioni pubbliche di aperto dissenso da parte di esponenti ebraici verso la reazione spropositata del governo di premier Netanyahu all’eccidio di civili israeliani perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023.

Una questione lacerante che va oltre la disquisizione astratta sulla misura del diritto di difesa e pone il mondo intero davanti ad un’escalation bellica che va oltre il Medio Oriente e riguarda direttamente il nostro Paese.

L’Italia si è assunta la guida della missione militare europea nel Mar Rosso destinata a proteggere il traffico commerciale in questa importante arteria marittima del Golfo Persico sotto attacco delle truppe Houthi. Le forze filo iraniane in Yemen occupano un’area strategica importante, capace di bloccare il 12% del commercio marittimo internazionale come forma di pressione per fermare l’attacco israeliano su Gaza.

Le nostre forze di difesa hanno, allo stesso tempo, contribuito a trasportare in ospedali italiani, con un C-130J dell’aeronautica militare, alcuni bambini feriti a Gaza grazie all’azione di padre Ibrahim Faltas, della custodia francescana di Terra Santa. Una goccia nel mare ma un segno di umanità che pone domande sulle possibili azioni dell’Europa a far cessare il fuoco oltre che a curare chi riesce a scappare dalla morte sotto le bombe.

L’appello promosso da alcuni ebrei italiani è molto denso e aiuta a porre alcune questioni di merito che meritano di essere discusse proprio perché parte dalla riflessione sul significato della giornata della Memoria del 27 gennaio.

Il testo è stato firmato da personaggi noti come Gad Lerner ma ha ricevuto già una successiva prima dissociazione da parte di un altro noto giornalista, Stefano Jesurum, a conferma della lacerazione che attraversa ognuno davanti a scenari e fatti che lasciano smarriti.

Ecco il testo dell’appello e la mail indicata per l’adesione indifferenti6@gmail.com:

Siamo un gruppo di ebree ed ebrei italiani che, dopo la ricorrenza del Giorno della Memoria e nel vivere il tempo della guerra in Medio Oriente, si sono riuniti e hanno condiviso diversi sentimenti: angoscia, disagio, disperazione, senso d’isolamento.

Il 7 ottobre, non solo gli israeliani ma anche noi che viviamo qui siamo stati scioccati dall’attacco terroristico di Hamas e abbiamo provato dolore, rabbia e sconcerto. E la risposta del governo israeliano ci ha sconvolti: Netanyahu, pur di restare al potere, ha iniziato un’azione militare che ha già ucciso oltre 28.000 palestinesi e molti soldati israeliani, mentre a tutt’oggi non ha un piano per uscire dalla guerra e la sorte della maggior parte degli ostaggi è ancora incerta. Purtroppo sembra che una parte della popolazione israeliana e molti ebrei della diaspora non riescano a cogliere la drammaticità del presente e le sue conseguenze per il futuro. I massacri di civili perpetrati a Gaza dall’esercito israeliano sono sicuramente crimini di guerra: sono inaccettabili e ci fanno inorridire.

Si può ragionare per ore sul significato della parola “genocidio”, ma non sembra che questo dibattito serva a interrompere il massacro in corso e la sofferenza di tutte le vittime, compresi gli ostaggi e le loro famiglie. Molti di noi hanno avuto modo di ascoltare voci critiche e allarmate provenienti da Israele : ci dicono che il paese è attraversato da una sorta di guerra tra tribù – ebrei ultraortodossi, laici, coloni – in cui ognuno tira l’acqua al proprio mulino senza nessuna idea di progetto condiviso.

Quello che succede in Israele ci riguarda personalmente: per la presenza di parenti o amici, per il significato storico dello Stato di Israele nato dopo la Shoah, per tante altre ragioni. Per questo non vogliamo restare in silenzio.

Abbiamo provato forte difficoltà di fronte all’appena trascorso Giorno della memoria: non possiamo condividere la modalità con cui lo si vive se lo si riduce a una celebrazione rituale e vuota. Riconoscendo l’unicità della Shoah, consideriamo importante restituire al 27 gennaio il senso e il significato con cui era stato istituito nel 2000, vale a dire un giorno dedicato all’opportunità e all’importanza di riflettere su ciò che è stato e che quindi non dovrebbe più ripetersi, non solo nei confronti del popolo ebraico.

Il 27 gennaio 2024 è stato una scadenza particolarmente difficile e dolorosa da affrontare: a cosa serve oggi la memoria se non aiuta a fermare la produzione di morte a Gaza e in Cisgiordania? Se e quando alimenta una narrazione vittimistica che serve a legittimare e normalizzare crimini?

Siamo ben consapevoli che esiste un antisemitismo non elaborato nel nostro Paese e nel mondo, ne sentiamo l’atmosfera e l’odore in questi mesi soprattutto dal 7 ottobre, quando abbiamo visto incrinarsi i rapporti, anche personali, con parte della sinistra. Ma ci sembra urgente spezzare un circolo vizioso: aver subito un genocidio non fornisce nessun vaccino capace di renderci esenti da sentimenti d’indifferenza verso il dolore degli altri, di disumanizzazione e violenza sui più deboli.

Per combattere l’odio antiebraico crescente in questo preciso momento, pensiamo che l’unica possibilità sia provare a interrogarci nel profondo per aprire un dialogo di pace costruendo ponti anche tra posizioni che sembrano distanti.

Non siamo d’accordo con le indicazioni che l’Unione delle Comunità ebraiche italiane ha diffuso per la giornata del 27 gennaio, in cui viene sottolineato come ogni critica alle politiche di Israele ricada sotto la definizione di antisemitismo. Sappiamo bene che cosa sia l’antisemitismo e non ne tolleriamo l’uso strumentale. Vogliamo preservare il nostro essere umani e l’universalismo che convive con il nostro essere ebree ed ebrei. In questo momento, quando tutto è difficile, stiamo vicino a chi soffre provando a pensare e sentire insieme.

Fabrizio Alberti
Rachele Alberti
Marina Ascoli
Massimo Attias
David Calef
Valeria Camerino
Giorgio Canarutto
Lucio Damascelli
Beppe Damascelli
Enrico De Vito
Annapaola Formiggini
Saby Fresko
Paola Fresko
Giulia Frova
Bice Fubini
Nicoletta Gandus
Adriana Giussani
Bella Gubbay
Joan Haim
Hassan Massimo
Cecilia Herskovitz
Francesca Incardona
Stefano Levi Della Torre
Annie Lerner
Gad Lerner
Stefano Liebman
Raffaele Molena Tossetto
Stefano Mariotti
Bruno Montesano
Guido Ortona
Bice Parodi
Laura Pesaro
Simone Rossi del Monte
Renata Sarfati
Stefano Sarfati
Eva Schwarzwald
Gavriel Segre
Simona Sermoneta
Shmuel Sermoneta Gertel
Susanna Sinigaglia
Sergio Sinigaglia
Stefania Sinigaglia
Deborah Taub
Jardena Tedeschi
Mario Tedeschi
Massimo Gentili Tedeschi
Sara Tedeschi
Fabrizia Termini
Alessandro Treves
Claudio Treves
Roberto Veneziani
Serena Veneziani
Marco Weiss

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